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[SPECIALE] 10 film che hanno segnato lo sviluppo del Giallo in Italia. (2/2)

Torso, conosciuto anche come I corpi presentano tracce di violenza carnale, è un film del 1973 di Sergio Martino. All’estero è stato, assieme al film Reazione a catena di Mario Bava, il precursore del filone degli slasher movie statunitensi (di cui fanno parte titoli come Halloween – La notte delle streghe e la saga di Venerdì 13) sebbene molti condividono il pensiero che al primato vada affiancato anche il titolo di Black Christmas di B. Clark.
Torso però presenta tutti gli elementi che verranno poi presi in prestito in modo letterale negli slasher americani degli anni successivi. Martino non lesina in momenti gore e dettagli sexy… fa crescere la tensione e soprattutto contestualizza il rapporto vittima-carnefice, con vette claustrofobiche riuscite.

TRAMA: Un serial killer colpisce a Perugia tra gli studenti universitari e tre studentesse si ritirano in una casa di montagna per dimenticare gli ultimi efferati delitti. Purtroppo per loro vengono raggiunte da un’amica e anche dal serial killer che continua a uccidere fino a un finale sconvolgente. Bravissima Suzy Kendall (L’Uccello dalle piume di cristallo) sulle cui spalle si regge quasi tutta la tensione del film.

La tarantola dal ventre nero è un film del 1971 diretto da Paolo Cavara, ed uno dei film dal “titolo zoologico” nato sulla scia de L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento. Il documentarista Cavara, agli inizi degli anni sessanta entrò in contatto con Angelo Rizzoli per il quale realizzò come autore e regista, con Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, Mondo cane (1962) e La donna nel mondo (1963). In origine si trattava di un unico film che fu poi diviso in due a causa dell’enorme materiale da lui realizzato. Mondo cane fu considerato il primo documentario shock e fece in breve tempo il giro del mondo.

Morricone alle musiche, Giancarlo Giannini, Barbara Bouchet e Stefania Sandrelli nel cast sono una garanzia per la visione.

TRAMA: Dopo aver subito il ricatto di un misterioso individuo a causa di una foto che la ritrae con il suo amante, Maria Zani viene trovata morta con il ventre orribilmente squarciato. Mentre il commissario Tellini inizia le indagini, Paolo, marito della vittima, incarica Catapulta, un investigatore privato, di individuare il personaggio fotografato con la defunta moglie. La situazione si fa complessa e drammatica quando si scopre che l’assassino, prendendo a modello quello che l’ape fa alla tarantola, usa immobilizzare la vittima con una puntura per poi vivisezionarla ancora viva e sensibile.

Se l’intreccio risulta a volte poco avvincente, la regia ci restituisce – tramite bellissime inquadrature e dettagli curatissimi – tutta la forza del GIALLO all’italiana: il primo delitto, quello di Barbara Bouchet, è da antologia!

La coda dello scorpione è un film del 1971 diretto da Sergio Martino. Il titolo del film fa riferimento ad una coppia di gemelli con la forma di uno scorpione, indizio che sarà rilevante per la scoperta della verità nelle indagini.

TRAMA: La signora Baumer, rimasta vedova dopo la morte del marito Kurt, a causa dell’esplosione dell’aereo su cui stava viaggiando, si reca ad Atene per riscuotere i soldi dell’assicurazione che il defunto marito aveva stipulato sulla sua vita. La donna entra così in possesso di un milione di dollari. Ma la società assicuratrice che ha stipulato la polizza incarica l’investigatore Peter Lynch di indagare se la moglie non sia in qualche modo coinvolta nella morte del marito. E proprio nella città greca la signora Baumer viene brutalmente uccisa da un misterioso assassino, che le porta via tutto il denaro. (FONTE: wikipedia).

Quello che più colpisce in questo film (a parte le musiche di Nicolai) è la simmetria con cui vengono composte le inquadrature e una certa ossessione per lo stile che diventa quasi eccessivo in ogni dettaglio ma, soprattutto, il montaggio di Eugenio Alabisio che crea passaggi e transizioni temporali con un linguaggio tutto suo che andrebbe studiato nelle scuole di cinema.
Sergio Martino fu costretto a rinunciare a Edwige Fenech perché in quel periodo era incinta, e molti critici non perdonano al film questo “vuoto”, a mio parere ben riempito da Anita Strindberg (Milano Odia La Polizia Non Può Sparare, L’Anticristo, Una Lucertola Con La Pelle Di Donna).
Se nei thriller con la Fenech, la donna è vittima o apparente vittima di losche e insospettabili trame, qui invece la figura femminile del film è un personaggio dinamico, con una funzione precisa e decisiva nella risoluzione della complessa trama. È un thriller che potremmo definire “solare”, sia per i bei paesaggi greci e poi per quella presenza costante e costruita ad arte di battute ironiche che accompagnano lo svolgimento delle indagini sui delitti.

Sette note in nero è un film del 1977, diretto da Lucio Fulci. Contende la presenza in questa lista con il precedente Una Lucertola con la Pelle di Donna, sempre di Fulci, ma fra i due ho preferito optare per questo… perché la componente paranormale qui si radica per la prima volta in una dimensione credibile e contestualizzatissima, rendendo il film un cult senza tempo (a parte la datata canzone dei titoli di testa!).

L’idea iniziale del film era un riadattamento al romanzo Terapia mortale di Vieri Razzini, ma il regista, in collaborazione con Roberto Gianviti, non trovando sbocchi sulla sceneggiatura, decise di modificarla con l’aiuto di Dardano Sacchetti. La nuova sceneggiatura prende spunto anche dal racconto Il gatto nero di Edgar Allan Poe, dove una donna viene murata viva e ritrovata grazie a un “suono”… che il mitico Quentin Tarantino ha omaggiato nel suo Kill Bill Vol. 1, utilizzando proprio il tema principale della colonna sonora, nella scena del risveglio della sposa (Uma Thurman).

TRAMA: Fin da bambina Virginia ha avuto delle visioni: ha previsto per esempio il suicidio della madre. Ora, fresca sposa di Francesco Ducci, “vede” l’omicidio di una donna murata nella villa del marito. Questi finisce dapprima in carcere poi, scagionato, esce, ma l’omicidio previsto da Virginia deve ancora accadere.

La scena iniziale (l’unica cruenta) con i dettagli della donna suicida mentre cade da una scarpata, viene ripresa dal suo Non si sevizia un paperino del 1972. Il regista indiano Partho Ghosh ha girato un remake B-movie del film intitolato 100 Days, uscito nel 1991. Un remake non ufficiale invece, ha scatenato moltissimi “rumors” all’estero negli ultimi anni, per il fatto di non aver mai apertamente riconosciuto il debito a Fulci: stiamo parlando del film Le verità nascoste di Robert Zemeckis con la Pfeiffer e Ford, in cui al muro e alla “nicchia” si sostituiscono il muro d’acqua del mare e l’interno dell’automobile affondata, ma per il resto tutto si svolge uguale.

Suor Omicidi (1979).

Non si può concludere la lista se non con quest’opera kitsch e coraggiosa, ispirata ai delitti di Suor Godfrida – come venne soprannominata Cecile Bombeek – una suora della Congregazione apostolica di San Giuseppe e responsabile nel reparto di geriatria in un ospedale pubblico in Belgio; Cecile fu ufficialmente accusata di aver ucciso tre pazienti, ma si scoprì che ne aveva uccisi più di 30 tra il 1976 e il 1978 con atti di sadismo. A dispetto del quasi ridicolo titolo italiano (titolo internazionale Killer Nun), siamo di fronte a un giallo malato e molto crudele, e negli States pare esista addirittura un fans club che venera questo film alla pari di pellicole quali Il Monaco e I Diavoli di Russell.

TRAMA: Suor Gertrud scopre di essere malata di tumore al cervello e, per questo motivo, viene sottoposta ad un delicato intervento. L’intervento riesce perfettamente ma, dopo l’intervento, suor Gertrud viene sottoposta ad una cura a base di morfina. La religiosa finisce col diventare tossicodipendente e l’uso-abuso del farmaco diventa una vera e propria ossessione (FONTE: wikipedia).

Anita Ekberg e Joe Dallessandro sono i protagonisti di questo trip in cui non ci vengono risparmiati nudi integrali (anche maschili), sadismo e blasfemia…
Giulio Berruti firma un’opera controversa che iscrive di diritto questo film nel folto calderone delle opere maledette, distrutte sul nascere dalla cecità di preconcetti ideologici che poco hanno a che fare con la qualità artistica di un prodotto, al punto da spingere un regista promettente (che fu co-sceneggiatore e aiuto regia in Hanno Cambiato Faccia e Baba Yaga di Corrado Farina, e regista di Noi siam come le lucciole) ad abbandonare il cinema.

«Dopo le disavventure produttive di Suor Omicidi, mi passò totalmente la voglia di continuare a fare quel tipo di cinema e decisi di dedicarmi solo ai documentari, nei quali ero libero di potermi esprimere … è la prima volta, in trent’anni, che presento Suor Omicidi davanti a una platea per una proiezione pubblica … questo film, per tanti anni, è stato dimenticato e per lungo tempo ho sperato che finisse nell’oblio e che nessuno lo ricordasse più … ultimamente, invece, ho scoperto che esso vive ancora, così come me e alcuni attori che lo interpretarono. Noi non vogliamo morire, questo film non vuole morire!».

Sono queste le parole che un visibilmente emozionato Giulio Berruti avrebbe pronunciato prima della proiezione di Suor Omicidi durante la quarta edizione del Ravenna Nightmare Film Fest.

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