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[SPECIALE] Paura Nella Città dei Morti Viventi. Intervista a Giovanni Lombardo Radice

Nella storia raccontata in Paura nella città dei morti viventi di Lucio Fulci il personaggio più interessante è quello di Bob.
Lo scemo del villaggio e il capro espiatorio. Bob infatti è il personaggio che a Dunwich non muore ucciso dal prete o dagli altri zombi che da un certo punto in poi iniziano a saltare fuori. Ad ammazzare Bob ci pensa Venantino Venantini perché lo sorprende in compagnia della figlia. La morte di Bob rappresenta la paura e il male che hanno oramai straripato gli argini, il vero punto di non ritorno.
Ad interpretarlo c’è un giovane attore alle prime esperienze cinematografiche, tutte un po’ per caso e un po’ per necessità di stampo horror, ma che ha già alle spalle una carriera da attore e da regista di teatro. Si chiama Giovanni Lombardo Radice ed è destinato a divenire nel corso del tempo una icona dei film dell’orrore italiani.

Per prima cosa facciamo chiarezza sulla cronologia dei tre film che giri in quel periodo.

Giovanni Lombardo Radice: Ho fatto prima La casa sperduta nel parco di Deodato, per secondo Apocalypse Domani di Margheriti e poi Paura nella città dei morti viventi.

Cosa ti ha spinto a passare dal teatro al cinema?

I soldi. Il teatro mi aveva piuttosto rovinato, perché avevo investito delle cose mie. Avevo una compagnia mia ma non ero assolutamente capace di gestire il lato economico – organizzativo. E poi mi era capitato per caso di avere questo incontro con una signora, che in quel momento era la suocera di Deodato perché era la mamma di Silvia Dionisio, che faceva l’agente. Mi incontrò per caso e mi disse “Ah, ma che bella faccia che c’ha lei”. Insomma è stato molto casuale che io abbia cominciato con quel genere lì perché Deodato stava preparando La casa sperduta nel parco. Però la grande spinta sono stati i soldi.

Qual è il tuo giudizio sui film dell’orrore del periodo?

A me non piacciono, non è un tipo di film che andrei a vedere. A me casomai piacciono le storie di fantasmi, Hitchcock. Lo splatter e il sangue no. Pensa che io la scena di Daniela Doria che si vomita le budella non sono mai riuscito a guardarla. Poi a me non piace essere spaventato. Infatti non ho mai visto niente, salvo i film miei, e neanche quelli li ho visti tutti, ma mai visto nulla di tutto il resto.

Giovanni Lombardo Radice in un momento del film Paura nella città dei morti viventi(1980) di Lucio Fulci.

Come ti sei preparato per questo ruolo difficile, Bob è un personaggio piuttosto complesso…

Infatti. Detto questo li ho presi sempre molto sul serio. Li ho sempre fatti come se facessi Ėjzenštejn.
Mi sono preparato con la zoomorfia che è una tecnica che ho sempre adoperato e che consiste nello stabilire che animale è il tuo personaggio e lavorare sull’animale, sul corpo. Una volta che hai trovato il corpo del personaggio hai fatto più del 50% del lavoro.
Ho stabilito che era un topo di fogna e ho lavorato su quello. Poi lui era un po’ storto. Mi volevano mettere una gobba finta e io pensavo “Oddio devo fare il servo di Frankenstein…”. Allora sono andato da Fulci e gli ho detto “Senti ti dispiace se cerco di farlo io?” e lui “Fammi vedere” e mi sono messo a fare un po’ il Riccardo III con una spalla storta e lui mi ha detto che andava benissimo e che la gobba finta non serviva più.
Mi sono preparato soprattutto sull’aspetto fisico.

Parliamo di Fulci. Come è stato il rapporto tra di voi?

Buonissimo. Ho assistito a scenate di ogni genere e tipo, perché le scenate le faceva, ma mai niente con me. Mi invitava a cena, era rispettosissimo. Parlavamo di film di qualità, di Visconti. Era un uomo furastico, che stava sempre un po’ ingrugnato ma con me è sempre stato gentilissimo.

Ultima cosa. Su quel set ha lavorato come attore (e poi è rimasto per altri compiti dietro le quinte) Michele Soavi, con il quale poi hai avuto un bel sodalizio…

Io gli ho fregato il ruolo. Era il secondo che gli fregavo perché il film di Deodato lo doveva fare lui e invece l’ho fatto io, poi in Paura doveva fare Bob e invece l’ho fatto io e lui ha avuto un ruolo più piccolo. Ma a lui non gliene fregava già più niente di recitare, lo faceva per stare sui set. E poi in Paura faceva l’assistente alla regia. Lì è scoppiata un’amicizia travolgente. Ci divertivamo anche molto, eravamo una banda di ragazzetti, io, lui, la Interlenghi, un altro che lavorava in produzione. Eravamo giovani e ci divertivamo. Lui era un entusiasta assoluto. Aveva questo autentico amore per i film dell’orrore. Tutti gli altri, diciamoci la verità, li facevano perchè erano di moda. Prima avevano fatto i western, i sandaloni, avevano fatto Totò. I fans tendono sempre a pensare che fare horror fosse una religione, invece era pane e burro nel senso che andava di moda quello e facevano quello. Invece Michele c’aveva un’autentica passione, leggeva Lovecraft. Era un’altra cosa e poi era giovane.

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