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[ESCLUSIVA] I nostri fantasmi, In Fondo Al Bosco – intervista a Stefano Lodovichi

Il 13 marzo SkyCinema trasmette In fondo al bosco, secondo lungometraggio di Stefano Lodovichi, scritto insieme a Isabella Aguilar e Davide Orsini. Gli ho chiesto qualcosa su di lui, su come gli piace lavorare e su come ritiene debba essere inquadrato, se proprio si deve, il suo ultimo lavoro.

Il videoclip, il documentario, il cortometraggio, il film per il cinema e per la televisione: qual è, se c’è, il formato preferito da Stefano Lodovichi?

Quasi tutti i registi della mia generazione sono passati per la fase filmmaker, hanno girato video o spot e hanno imparato, nel tempo, a confrontarsi con media e linguaggi differenti. Personalmente allo stato attuale preferisco il cinema, ma soltanto per una questione di fascino (la sala, il proiettore, vedere i manifesti del tuo film dove un tempo hai visto quelli dei grandi film che ti hanno cresciuto…). Ma prima di rispondere in maniera definitiva vorrei confrontarmi con la serialità televisiva. Sono un consumatore di serie, uno spettatore dipendente… ne guardo molte e di vario genere. Mi piacerebbe seguire una serie perché mi innamoro facilmente dei miei personaggi, e avere la possibilità di seguirli, di crescerli nel dolore, nel divertimento, seguendoli nella lunga distanza sarebbe meraviglioso.

E qual è, invece, la cifra stilistica di Stefano Lodovichi regista che potremo riconoscere anche nel nuovo lavoro, “In fondo al bosco”?

Credo che il filo rosso che lega i miei progetti sia la profonda umanità di tutti i personaggi che racconto. Cerco sempre di approfondirli ed esplorarli in tutti i loro aspetti più “normali” raccontando i difetti, le imperfezioni, le difficoltà che li contraddistinguono. I personaggi di “In fondo al bosco” sono persone normali che vivono con i loro fantasmi, nell’ombra, nel dolore, con rabbia, emozione e vergogna… come tutti noi che, in fondo al bosco, nascondiamo sempre qualche cosa di tremendo.

Come hai preparato le scene dal punto di vista visivo?

Il lavoro sul visivo è quello che preferisco insieme a quello con gli attori. Parto sempre dalla storia, dal fuoco emotivo che caratterizza un progetto. Poi da lì cerco di capire il tipo di linguaggio che può rispettare e valorizzare al meglio la storia. E mentre ci penso cerco di trovare ispirazione nella storia dell’arte, in altri film, serie, video e, ultimamente, anche su Instagram. Una volta trovato il codice estetico del film ne parlo con i miei collaboratori. Condivido con loro le regole generali che avrà il film, i suoi colori principali, il tipo di luce, il tono delle situazioni e molto altro. Così inizia il confronto e, insieme, iniziamo a mettere altri mattoni alla casa…

Come hai lavorato, invece, con gli attori?

Ho cercato di conoscerli bene, imparando ad ascoltarli con attenzione. Attori come Filippo Nigro, Camilla Filippi o Giovanni Vettorazzo sono attori di grande esperienza e con una sensibilità che non può che essere un valore aggiunto. Anche per questo dico sempre che i personaggi nascono in scrittura ma poi crescono sul set, perché è nel confronto con chi dovrà interpretarli che si riesce a scoprirli un po’ di più. A volte capita di vedere registi che si impuntano sulla loro visione. Lo trovo uno spreco di tempo, un arroccarsi insensato. Se è vero che il film è del regista è anche vero che i film non si fanno da soli, non stiamo parlando di un quadro. E se un attore non funziona, il suo personaggio non funziona, e così a cascata, tutto il film rischia di fallire… E poi fare un film è una cosa troppo bella per farla da soli.

“In fondo al bosco” sembra potersi inserire in quel filone, interessante, ma poco numeroso, del thriller nordico italiano, insieme a “La ragazza del lago”, “La foresta di ghiaccio”, “Oltre il guado” e altre piccole produzioni, insieme anche al romanzo “XY” di Sandro Veronesi. Sono riferimenti che può vedere solo un cinefilo/cultore del genere oppure erano presenti al momento di preparare la produzione?

Ci tengo a precisare che “In fondo al bosco” non fa parte di un genere preciso, unico. Non è un semplice thriller, ma è un film drammatico venato di mistery, noir e anche un po’ di horror. Sicuramente nello scriverlo con Isabella Aguilar e Davide Orsini ci siamo ispirati a quel tipo di cinema di cui parli tu. “La ragazza del lago” o “Foresta di ghiaccio” sono film che possono essere considerati figli dello stesso macrogenere. Di sicuro la grande spinta del thriller nordeuropeo degli ultimi anni (“The Killing”, “The Bridge” e molto altro) ci ha ispirato nella scrittura della sceneggiatura ed è anche vero che le Alpi sono un luogo incredibile: meraviglioso e mostruoso allo stesso tempo.


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