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GLI AC/DC A IMOLA – Reportage verissimo del concerto dell’anno

Aprendosi a fatica, i miei occhi colgono solo due particolari.
Il primo è la luce della mattina che filtra dentro l’auto.
Il secondo è l’unghia incrostata di sangue del mio alluce sinistro appoggiato sul cruscotto.
Per qualche secondo faccio fatica a ricostruire dove sono e perché, poi al finestrino compare la faccia di SuperMario e tutto ritorna chiaro: siamo a Imola perché ieri sera gli AC/DC hanno suonato nell’Autodromo per l’unica data italiana del “Rock or Bust” World Tour.
L’Autodromo per almeno tre di noi non è un posto qualunque per assistere a quello che anche i media più scalcinati e distratti hanno definito il “concerto dell’anno”. Tarp e Mr.B vennero qui per la prima volta nel 2002 per un Heineken Jamming Festival.
La spedizione fu ripetuta e per l’edizione 2006 tirarono dentro anche me.  Di quei due giorni infuocati mi restano immagini nitide: i Depeche Mode, i Metallica, l’autogol di Zaccardo in Italia-USA al maxischermo, la maglietta luccicante dei Darkness e una serie infinita di aneddoti, storie e personaggi ormai già raffigurati più volte anche a SuperMario, il quarto passeggero della mia polverosa auto familiare che ieri a velocità di crociera ha percorso autostrade bollenti verso l’appuntamento atteso da mesi.

Ma ieri, in definitiva, cosa è successo?

Preparativi e cuscini rosa

Ci eravamo dati una tabella di marcia, ma non siamo riusciti a rispettarla: stavolta non è per pigrizia, ma per la necessità di sistemare le cose con mogli, compagne, figli o genitori invecchiati.
Sì, dal 2006 molto è cambiato.
Partiamo senza neanche una birra in macchina, solo perché nessuno ha pensato di fare rifornimento. Nei nostri zaini ci sono spazzolini da denti (Tarp sostiene che in occasioni come queste lo spazzolino ti salva la vita), salviette anti zanzare, mentine Frisk… e Tarp tra gli sghignazzi generali si è portato anche un cuscino con la federa rosa da sistemare in tenda.
In auto si parla di politica e di giornalismo, del lavoro di chi è impiegato male e di chi non si prende mai una responsabilità e naturalmente di musica, perché intanto l’autoradio rimanda un tormentone di Bugo, pezzi rari di Paul Pena, dei CSI e degli Who e l’inno della spedizione, l’unica canzone che stasera non sentiremo di sicuro, cioè quella “It’s a long way to the top” che gli AC/DC non hanno più suonato dal vivo dopo la morte del primo cantante, Bon Scott.

All’Autogrill gli impiegati stanno litigando tra di loro e metà dei vari tipi di panino sono già finiti, anche se è solo un giovedì. Ci togliamo la prima sete, ridiamo della copertina della rivista “Professione Camionista” e ripartiamo.
It’s a Long Way.

Dopo Bologna ci becchiamo dieci chilometri di coda. Siamo impazienti e io cerco di giocare a indovinare la corsia che scorre, ma come sempre è inutile. Mentre SuperMario si eclissa per il primo pisolino della giornata, giochiamo a indovinare quali delle altre auto sono dirette al concerto. In qualche caso è facilissimo indovinare (due ventenni su una vecchia Panda 750 rossa rollano torboni a nastro e sembrano già felici così), in altri casi è impossibile: la musica accomuna spesso persone completamente diverse.
A Imola ritiriamo i biglietti che sono già le 16. SuperMario si lamenta da ore dell’arsura: spegnerla è diventata un’urgenza per tutti, ma dobbiamo ancora trovare un campeggio. Ci aiuta Tarp, che si ricorda dov’è quello attrezzato in un campo di cachi dove abbiamo dormito nel 2006. Parcheggiamo, montiamo le tende mentre io riprendo la scena con la telecamera, poi via.
Nei dintorni dell’autodromo c’è già tantissima gente. Caldo, 33 o 34 gradi con una certa brezza che aiuta a sopportarli insieme alla birra.
Noi ci fermiamo al River Bar dove le ragazze sono gentili e non c’è troppa coda.
In giro per strada, in verità, ci sono già però decine di venditori napoletani che sfidano l’ordinanza del Sindaco di Imola, quella che impone di non vendere bevande in bottiglie di vetro. Armati di carrelli e ombrelloni da mare, sono dappertutto e vendono sia acqua che birra di ogni genere. Un’organizzazione capillare, ridicolo pensare che sia un’iniziativa singola. Devono essere arrivati già stamani con un camion per la roba e un pullman con le persone che devono “faticare”.
Lascio insoddisfatta la curiosità di sapere se non vendano altra roba, su richiesta.
Per entrare nell’autodromo ci vuole un’altra ora, ma ormai ci siamo.

La coda all’ingresso dell’autodromo

L’organizzazione definisce il Paddock della Rivazza come “una delle zone più verdi dell’autodromo”. E’ una bugia fantozziana, lo sappiamo bene: si tratta di un piazzale completamente asfaltato proprio accanto al rettilineo, dove tutto ribolle sotto il sole.
Accanto c’è la collina della Rivazza, stuprata dai seggiolini della tribuna, ancora quasi vuota.
Passiamo le successive due ore ad alimentare la nostra dieta liquida e a guardare la gente. Io mi dedico a leggere i tatuaggi-citazione: sono soprattutto dimenticabilissime frasi da biglietto dei cioccolatini.

L’attesa

Mr.B e Tarp invece ci fanno ridere delle vamp, delle milf e delle emo che passeggiano tra la polvere e le bottiglie come se si trattasse di una passerella milanese. SuperMario si sbafa prima un panino, poi un trancio di pizza al salamino che per me è ottima, ma a Tarp e Mr.B sa di cartone.
Alle 19 l’ultima birra e ci buttiamo dentro, raggiungendo una posizione soddisfacente senza essere troppo molesti con chi è già sistemato da ore.
L’attesa dell’evento ha limitato gli sfatti che del concerto non ricorderanno niente. Ci sono, ma non sono poi così tanti. Mr.B si volta all’arrivo di una nuvola di fumo aromatico e chiede al fumatore: “È erba?” “Sì” “Che erba è?” “Boh”.
Sono più numerosi gli pseudo collassi, gli “oddio oddio mi gira la testa”.

Bandiera della Sardegna: e quella toscana?

Supermario si siede e si riabbiocca di nuovo nella posizione di Toro Seduto, mentre io, Tarp e Mr.B socializziamo con l’enclave di toscani (pratesi, senesi…) che ci troviamo intorno per caso. Uno dei ragazzi dice che i sardi quando vanno in giro hanno sempre con loro una bandiera della Sardegna (c’è anche qui, poco distante da noi), che dovremmo fare così anche noi toscani. Boh, ci pensiamo un po’ su, potrebbe quasi sembrare una buona idea, ma alla fine poi chi se ne frega?
Alle 19e45 in punto, col sole che pietosamente sparisce dietro il palco, partono i Vintage Trouble. Gruppo blues che si rifa’ in tutto agli anni ’60, abbigliamento compreso, scaldano gli animi senza lasciare traccia di sé: probabilmente fanno cioè esattamente quello che gli è stato chiesto. Il cantante riceve un’ovazione quando si getta, con la giacca gialla fradicia di sudore, sulle prime file del pit. Il chitarrista sembra ispirato e divertito. Riscuotono applausi di simpatia, prima di andarsene alle 20 e 30.

Fuoco alle polveri!

Bisogna aspettare quasi un’ora prima che Imola esploda. Negli attimi in cui sui maxischermi parte il video che dà inizio al concerto, la folla ci spinge avanti di cinquanta metri e la temperatura finalmente piacevole della serata aumenta di colpo di dieci gradi.
Si ritorna a sudare come porci, ma ormai non ha più importanza: gli AC/DC sono sul palco. La musica ti entra dentro e scatena l’adrenalina: dopo “Rock or bust” e “Shoot to thrill” si continua a pogare e sono costretto ad assestare un paio di gomitate strategiche in qualche costola troppo esuberante.
Mano a mano che si va avanti, però, prevale l’ammirazione. Dal quarto, quinto pezzo si salta e si balla, ci si lascia solo trascinare. Tarp è ipnotizzato, Mr.B che è l’unico di noi ad aver già visto un concerto degli AC/DC, a Rotterdam, ripete come un mantra: “Che intensità”, SuperMario riprende tutto con il telefono per renderlo immortale.
Scivolano via velocissimi pezzi che andrebbero riascoltati così decine di volte, vivisezionati. Ci mancano le parole per esprimere la felicità di essere davvero lì. Cosa si può dire della musica di questi mostri? Niente che non sia già stato detto. C’è qualcosa che si può aggiungere, però, rispetto al “come” viene suonata stasera davanti ai nostri occhi, qualcosa che ha a che vedere con la parola passione. 
Non si può dissimulare passione in quello che si fa.
Se passione c’è, ti travolge, se non c’è, tutto si trasforma in un piatto freddo. Magari ottimo, saporito, ma comunque freddo.
La passione che traspare dai maxischermi quando inquadrano la faccia trasfigurata di Angus Young (Tarp mi fa ridere quando dice: “Sembra una carpa” ed è proprio così in molti sensi) colpisce tutti, lascia a tratti impietriti e quando proprio Angus, sul finire di “Highway to Hell” sparisce tra le fiamme mentre mima due corna, sappiamo ormai per certo che è una di quelle passioni incontenibili, che bruciano, che contagiano, che dovrai sopportare fin a quando non sarai nella tomba, perché prima non ti daranno pace.

Angus Young su uno degli 8 maxischermi

Angus suona da solo per venti minuti sul finale di “Let there be rock”: sembra lui, invece del pubblico, a non volersene andare.
Il gran finale di “For those about to rock” ci lascia svuotati, affamati, assetati, sudati e polverosi (in più il mio alluce pesto sta sanguinando), a ripeterci quanto sia stato sconvolgente lo spettacolo di dedizione alla musica cui abbiamo assistito.
Per uscire dall’autodromo ci vorranno due ore e ci toglieranno le energie per partecipare all’after show alla discoteca delle Acque Minerali.
All’esterno, i venditori abusivi napoletani si sono dotati di potenti luci a led e sembrano se possibile triplicati: sono ovunque e la Polizia fa finta di niente.
SuperMario e Mr.B hanno fame e si lanciano alla ricerca di un chiosco dove la coda sia accettabile,  missione quasi impossibile, mentre io e Tarp cerchiamo una panchina.
Quando ci buttiamo in tenda sono le 2 di notte e ci accorgiamo che non ci sono materassini per tutti. Beh, Tarp ha il suo cuscino rosa, ma io mi offro di dormire in macchina.
Prima di trovare il sonno e di smaltire l’effetto della birra, dell’adrenalina e della suggestione ci vorranno almeno un paio d’ore, passate a cercare di incastrarsi in qualche modo sul sedile.
Da fuori intanto arrivano rumori ovattati.
Mi affaccio un attimo: dalla tenda di SuperMario filtra la luce del suo cellulare. Anche lui, come tutti, fatica a liberarsi dalle sensazioni travolgenti che abbiamo appena vissuto.

Il palco sul finale di “Highway to Hell”


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