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Riprendersi una città: i Rolling Stones a Lucca (a mente fredda).

La strada è chiusa.Satura è solo poche decine di metri più in là, ma nessuno sa dirci come poterci arrivare. Svolta a destra, poi a sinistra, poi sarà di qua, forse è di là, sta di fatto che invece al ristorante ci arriviamo lo stesso, in barba a tutto il piano del traffico. Che non c’è. È l’una e non c’è traffico, non c’è delirio, non c’è un clima di tensione, c’è solo l’attesa per il grande evento rock di stasera, i Rolling Stones a Lucca. Sul frigo c’è una frase in codice che ci fa ammazzare dalle risate. È la prima traccia di tutto quello che resterà nei ricordi di una giornata da ricordare. Mangiamo bene perché lì si mangia bene e perché chissà quando, se e come mangeremo di nuovo, da qui a chissà quale ora. È bello riprendersi una città. Camminare dove a cose normali non potresti mai, rischieresti la vita, da stupido, tossico o disperato. È bello vedere che la città si guarda con occhi diversi. Non cambia lentissimamente come ormai si è abituata a fare da millenni, no, si sveglia una mattina e non è più lei, si sente persa, ma anche euforica. Siamo euforici mentre cerchiamo di raggiungere l’area del concerto. La formazione è la stessa di Imola 2015, gli AC/DC in uno di quegli spettacoli che ti cambiano la vita. Porto la barba da quel 9 luglio. Va beh, non è un grande cambiamento, dal di fuori, ma del dentro che ne volete sapere? Un grande evento vissuto a due passi da casa vuol dire conoscere tanta gente in mezzo al delirio. Fa strano, c’è la folla, ma è una folla familiare. Mi trovo a parlare di passato, presente e futuro musicale. A raccontare storie che ho sempre tenuto per me. A soffocare frustrazioni e a spargere speranza, solo parlando con altre persone. È il rock, che inizia a far effetto ben prima di salire sul palco e ben oltre l’ultima luce che si spegne. Maxischermi enormi. Ci saranno immagini e non solo suoni, anche quaggiù, per noi ragazzi del prato B. Sulle mura che costeggiano l’arena ci sono gli sky box, i tendoni riservati a chi vuol fare spettacolo nello spettacolo, a chi non si mescola, a chi preferisce il suo “io” al sentirsi parte degli altri, un motivo unico che si unisce a quello della musica. Sono le sei, abbiamo presto posto e sto già trattenendo la vescica. Il tempo scorre, ha finalmente uno scopo, non c’è noia, solo curiosità e distratta attenzione. Tra il pubblico anche tanta gente attratta dall’idea del grande concerto, ma che dei grandi concerti non conosce la sofferenza, la fatica, la conquista. Il tempo di criticare l’inutile band in apertura, che chissà quanti soldi hanno speso per essere lì a richiamare qualche coro al pubblico invece di sparare tutto quello che hanno senza sosta, e sul palco arrivano gli Stones.

La prima impressione riguarda la pulizia e la perfezione del suono. I maxischermi sono veramente maxi, ma conta solo la musica. Mick Jagger ha una voce di ragazzino. Il pubblico c’è, risponde, segue.

Questi signori hanno dato inizio a tutto. Ecco perché il concerto è così blues, perché il blues è l’inizio di tutto.

Nella sua autobiografia, Pete Townshend degli Who racconta dei primi Stones dal vivo. Una sera vede Keith Richards sbracciare sul palco, lo ferma alla fine del concerto e gli dice: “Keith, bellissimo quel gesto che fai col braccio mentre suoni”. La risposta (“Eh?”) ha generato uno dei più grandi chitarristi rock di sempre, Pete, che si è subito appropriato di quel pezzo di spettacolo rendendolo un marchio di fabbrica del gruppo che ha inventato l’opera rock.

Sul palco di Lucca intanto grande ritmo, grande intesa, grande musica.

Ronnie Wood fa valere la sua gioventù relativa (70 anni) con energia e movimento accentuati da camicie inguardabili.

E cosa sarebbero stati i Led Zeppelin senza “Simpathy for the devil”? Impossibile saperlo.

Due ore e venti passano in un attimo e ti lasciano stanco, entusiasta, mentre cerchi di mettere al sicuro le tue impressioni e di tenere duro con la vescica.

Ripassiamo dal ristorante per attendere di potercene andare con tranquillità. Ci decomprimiamo grazie a una bottiglia gentilmente offerta, la cucina è chiusa, ma quanto è buono il pane, ruvido, generoso, semplice… l’essenza del rock.

Per rientrare Bronz dovrà fare il giro delle sette chiese per portarci tutti a casa, uno alla volta. All’autogrill hanno finito i panini, quelli rimasti fanno spavento, e intanto qualcuno ha anche piantato una tenda nel parcheggio.

Ho finito la voce, tanto per cambiare. Sembra che mi succeda apposta, quando è giusto che i pensieri restino tutti dentro, quando c’è il rischio che si disperdano in cazzate, quando è bene che, dopo tanta musica, regni un silenzio pieno di rispetto.


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