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[EXTRA] FILM E POLITICA – “Gonzo” di Alex Gibney: la politica meglio del sesso?

Carburante principale di ogni campagna presidenziale sono rabbia e lussuria e chiunque decida di impegnarsi in quella corsa sarà ridotto a un relitto balbettante, nel giorno delle elezioni”
Hunter S. Thompson, “Meglio del sesso”.

A un mese dalle elezioni politiche più sgarrupate e confuse che si ricordino nel paese dello stivale, può sembrare da fuori di testa che la politica possa ispirare ancora passione e coinvolgimento tra Italiani annoiati, dediti ad attendere la botta di culo del gratta e vinci per poter mandare affanculo amici, parenti e vicini di casa. Figuriamoci allora se è possibile concepire un momento storico in cui uno scrittore con una complessa serie di dipendenze potesse candidarsi come sceriffo della contea di Aspen, Colorado, presentando un simbolo che al centro portava l’inequivocabile effige del pejote. Rischiando seriamente di vincere, oltretutto. È una delle storie che racconta il premio Oscar Alex Gibney nel documentario “Gonzo: The Life and Work of Dr. Hunter S. Thompson” (Gonzo: vita e opere del dottor Hunter S. Thompson), ovviamente inedito in Italia. Siamo nel 1970 e uno dei movimenti politici che appoggia la candidatura di Thompson è il Freak Power. Nel programma elettorale di Thompson si leggevano promesse del tipo: “Fanculo le strade: tirar su tutto l’asfalto con martelli pneumatici e usarlo per construire un parcheggio auto in periferia. (…) In città ci si muoverà a piedi e le forze di polizia gestiranno un parco bici a noleggio”.

Utopie ritornate di moda nei giorni nostri, almeno se non vi prendete la briga di guardare le statistiche del traffico cittadino che ci ammorba. Si dice che Thompson, promettendo tra l’altro di eliminare la speculazione sulla vendita di droghe, avesse attirato alle urne molte persone che non avevano mai votato in vita loro. Beh, oggi qui nella patria dell’astensione sarebbe forse più utile partecipare, rispetto a votare. Ma si sa, non tutte le anime sante hanno voglia di esporre pubblicamente la loro coscienza. Chi lo fa di solito è perchè non ha niente da esporre. Dopo la delusione della sconfitta, l’amarezza di Thompson crebbe a dismisura, insieme ai suoi eccessi, ma la passione per la politica non si affievolì mai. Memorabili suoi reportage per la campagna presidenziale del 1972, in cui oltre a cercare di schiacciare la minaccia del vuoto spinto di Nixon, scoprì l’abuso di stimolanti di un candidato alla presidenza dei democratici. Anche questo è raccontato, con dovizia di particolari divertenti, dal doc di Gibney. Non cercate lì l’obiettività del giornalismo anglosassone, ammesso che sia mai esistita. Se infatti per Thompson la politica è solo “l’arte di controllare il proprio territorio”, allora il giornalismo obiettivo cos’è, se non un limite alla tua libertà di espressione e al tuo modo di rincorrere, come un pazzo, la verità?

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