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[RECENSIONE] Rabbia Furiosa – Er Canaro (Sergio Stivaletti)

Sergio Stivaletti inseguiva questo progetto da tempo. Per realizzarlo, dopo tanti “sì, poi vediamo”, se l’è finanziato da solo, proprio mentre Matteo Garrone preparava un altro film anch’esso ispirato alla figura di Pietro De Negri, il Canaro della Magliana. Coincidenza che, per forza di cose, porta a comparare i due lavori, anche inconsciamente. Considerazione ancora più banale: essendo la fonte sempre quella, va da sé che al centro della vicenda ci siano sempre e comunque loro due: il Canaro e il suo prepotente grosso amico, con i ruoli che alla fine si invertiranno.

Intorno al duo viene creato qui un mondo fatto di combattimenti di cani e di personaggi che dànno alla storia un tono da noir. Anna, la moglie del tolettatore (Romina Mondello); l’amico carrozziere ‘sceriffo’ (Romuald Klos) che sprona Fabio Il Canaro a non farsi prendere in giro e mettere i piedi in testa dal falso amico Claudio. E poi ci sono tutti i delinquenti che ruotano intorno ai due, da quelli del loro giro a gli altri con i quali nascono accordi e scazzi, tra combattimenti clandestini e droghe schizzanti di vario tipo (una poi è verde fosforescente come quella del Re-Animator di Gordon) da vendere e assumere.

Personaggi, luoghi, situazioni che fanno pensare un po’ a Pasolini ma anche a Claudio Caligari. E Claudio, personaggio che con le droghe ci sta sotto parecchio, passa (con Fabio e gli altri) dalla fratellanza alla violenza paranoica in un batter di ciglio. Fabio pure sclera facile, solo però da un certo punto in poi, quando cominciano ad entrare in ballo l’esasperazione di una certa frustrazione e l’incolumità dei suoi affetti: la figlioletta (Eleonora Gentileschi, Stella Amore) e la moglie, nonché i suoi amati cani.

Se Fabio alla fine sclera è anche per quello che Claudio combina con i cani. La sua Rabbia Furiosa è metaforizzata durante il film dalla mano ferita e pulsante mostrata ogni tanto, il palpitare di quei tagli diventa il segnale premonitore della violenza in arrivo. Ma anche della volontà di Sergio Stivaletti di voler raccontare la sua (e degli sceneggiatori Tentori e Lusci) versione della storia del Canaro senza per forza di cose attenersi alla verità dei fatti e alla razionalità.

E così contamina il thriller/noir con spruzzate di horror e di splatter, ma anche di western e leggerezza ottenendo un risultato a volte buono altre volte meno, comunque tutto sommato accettabile anche grazie alla duttilità dei due attori protagonisti (Riccardo De Filippis e Virgilio Olivari) capaci di passare da uno stato d’animo al suo opposto in modo convincente.

Che quella di Rabbia Furiosa sia una rilettura a suo modo anarchica lo dimostra soprattutto il finale onirico e ambiguo, fracassone, esagerato e per questo in qualche modo “hollywoodiano”.

Ma se su molte cose poco convincenti si può sorvolare su altre non possono essere fatti sconti. Parliamo soprattutto della sequenza della violenza carnale che tutto è tranne che disturbante. Lì si doveva osare di più, anche per omaggiare come si deve il nostro estremo cinema del passato. Quello spirito non c’è, un bel po’ di Rabbia Furiosa per questo sgarro invece sì.

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