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[RECENSIONE] Prigione di donne (Brunello Rondi)

Parlando di collaborazioni artistiche, e più in generale di convivenze, un film come Prigione di donne può dirci qualcosa. Si parla di Martine (Martine Brochard) una ragazza francese che finisce in galera in seguito ad una retata. La ragazza è innocente, la droga gliela infila nell’impermeabile un hippie fattissimo, un’anima pura, una pecorella smarrita in mezzo a un branco di lupi, così almeno sembrerebbe.

Martine in carcere scopre un mondo dalle mille difficoltà che non conosceva ma che imparerà presto a gestire. Scopre il mondo, cresce, matura, diventa donna se vogliamo. Scopre ad esempio che dietro l’aspetto da dura di Susanna (Marilù Tolo) si nasconde un’anima fragile e rassegnata, oppure assiste allo spogliarello improvvisato di Isabelle (Isabelle De Valvert) interrotto dal suo pianto improvviso. Martine uscirà dal carcere diversa, perché è a questo che servono i viaggi nelle caverne oscure, i percorsi formativi.

Prigione di donne nasce dal gemellaggio artistico-intellettuale tra lo psichiatra Aldo Semerari e il regista Brunello Rondi. Un ponte tra destra e sinistra (se conoscete i personaggi sapete che è così) non vogliamo dire perfetto ma senza dubbio interessante. Ai due si aggiungono anche Leila Buongiorno e José Maria Sanchez Alvaro. A fare da collante a questo improbabile ma funzionale team il produttore Carlo Maietto con la sua Thousand Cinematografica e le sue donnine nude. Le diversità, insomma, possono provare a convivere insieme.


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