Primo film che vede insieme Umberto Lenzi alla regia e Tomas Milian come attore, Milano odia: la polizia non può sparare vede protagonisti da una parte un fuorilegge senza scrupoli e dall’altra un commissario di polizia che vorrebbe (comportarsi in un certo modo) ma non può. Giulio Sacchi è il criminale, interpretato da Milian, che sequestra la figlia (Laura Belli) di un imprenditore (Guido Alberti) insieme a due perdigiorno da bar, Vittorio (Gino Santercole) e Carmine (Ray Lovelock), contro i tre c’è il commissario Grandi (Henry Silva) impotente perché sa chi c’è dietro tutto ma non ha prove sufficienti, soprattutto perché la legge che rappresenta gli impedisce di abbassarsi al livello dei criminali.
Milian nel caratterizzare il complesso personaggio di Giulio Sacchi va oltre le righe, utilizzando una linea di recitazione che tornerà anche in parecchi degli altri film del genere. Sacchi è violento perché sotto sotto debole, sceglie la violenza come riscatto, come unico modo per prendersi quello che (secondo lui) gli spetta di diritto: un’agiatezza che la vita non gli ha concesso. Un lavoro normale che gli spacchi la schiena non lo vuole, lui vuole tutto e subito e non conosce che la violenza per ottenerlo né si fa scrupoli nell’applicarla. Uccide chiunque incontra lungo il cammino anche se non gli è di ostacolo: bambini, la sua donna, i suoi compari. Significativa in tal senso è l’uccisione immotivata del vigile urbano durante la rapina che apre il film.
Ma c’è di più perché con la violenza, alimentata anche dall’utilizzo di droghe sintetiche, esce allo scoperto non solo la sua natura animale ma prende piede anche tutto il resto represso dentro di lui a cominciare dalla sua omosessualità. Ecco che nella scena in cui sequestrano una ricca famiglia obbliga un signore a farsi praticare una fellatio.
Ma c’è di più anche perché a un certo punto il commissario ligio alle regole si rompe le palle e decide di oltrepassare quel limite che separa la legalità dalla criminalità, si abbassa al livello del farabutto convinto che sia l’unico modo per risolve la questione. Erano anni difficili, il sessantotto aveva da un bel pezzo esaurito i suoi buoni propositi, dal peace and love si passa in pochi mesi a rapine, stragi, mancontento, paura, alla crisi finanziaria. Ci sono parecchie frasi pronunciate dai personaggi del film che potrebbero tranquillamente essere utilizzate per un film di oggi come ad esempio quelle sui politici che rubano. Niente è cambiato: il divario tra classi sociali esiste più che mai, quello che è sparito oggi è il genere poliziesco, l’unica eccezione sono le due stagioni di Romanzo criminale (che però guarda caso parla della banda della Magliana) e l’imminente All cops are bastards. Dietro tutti e tre questi lavori c’è lo stesso autore: Stefano Sollima. Capito la situazione?
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