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[RECENSIONE] La mano che nutre la morte (Sergio Garrone)

Per amore solo per amore Nijinski uccide giovani donne, per poter ridare alla sua amata moglie ustionata una nuova vita, una nuova pelle, un nuovo volto. Solo che Tanja non appena l’ultimo intervento ha avuto successo abbandona il luminare e prende il posto di Masha la donna che le ha “donato” il suo nuovo volto.

Curiosa e significativa è la vicenda realizzativa legata a questo La mano che nutre la morte.
Nel 1974 Sergio Garrone (fratello dell’attore Riccardo) inizia a girarlo ma la casa di produzione, La Cine Equipe, interrompe bruscamente le riprese. Un mese dopo ripartono e Garrone con le riprese nuove riesce non solo a completare il film ma a girarne addirittura un altro: Le amanti del mostro.

La cosa è abbastanza evidente e per molti aspetti: stesso cast di attori per i due film. Klaus KinskiKatia Christine (i cui personaggi in entrambi i film si chiamano Nijinski), Marzia DamonStella CalderoniAlessandro PerrellaLuigi BevilacquaRomano De Gironcoli e via dicendo. Stessi titoli di testa, ovviamente cambia solo il nome del film. Stesse ambientazioni, identiche inquadrature, addirittura stessa sequenza (la colazione sul terrazzo) doppiata però in maniera diversa, oppure l’utilizzo di due ciak diversi della stessa scena ora per un film ora per l’altro.

Due film speculari in tutto e per tutto anche nella trama e nelle situazioni. Gli ingredienti delle due pellicole sono quelli che all’epoca erano i più richiesti: sangue e sesso, morbosità pruriginosa, romanticismo gotico e lesbismo ardito. Il sangue, le ustioni e tutto il resto furono realizzate da Carlo Rambaldi, le scene zozze dalle bellissime Carmen Silva (l’unica attrice a comparire solamente in questo film), Marzia Damon e Stella Calderoni.

Sul film che dire? Niente di che, piuttosto moscetto. Garrone come regista, produttore e sceneggiatore ha realizzato di meglio. Però La mano che nutre la morte così come Le amanti del mostro vanno salvati se non altro come esempi di come una volta nel cinema italiano, grazie all’inventiva, si riuscivano a superare ostacoli produttivi degni di un doppio salto mortale. Di come si spremeva fino all’osso ogni singola lira, ogni possibile alchimia che al botteghino funzionava, copiando magari i successi d’oltreoceano ma sempre con quel tocco personale che li rendeva in qualche modo riconoscibili se non addirittura unici.


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