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[RECENSIONE] The Zero Theorem di Terry Gilliam (al Lucca Film Festival)

Ci tenevo veramente tanto a vedere The Zero Theorem e a vederlo bene, seduto al calduccio di un cinema nostrano. Terry Gilliam è garanzia di vino che invecchia con equilibrio e coerenza e ci ha mostrato anche di recente dei pezzi veramente interessanti (tra i quali anche Tideland: lo so, film per stomaci e cervelli forti, a me ha lasciato un segno e oggigiorno non è affatto banale).

Purtroppo, visto che nessun distributore italiano al momento ha acquistato i diritti del film, mi stavo rassegnando a rimandare il piacere della visione quando ho scoperto che il Lucca Film Festival di quest’anno (edizione magnifica) avrebbe dedicato un’intera parte del festival all’ex Monty Python, nonché la serata inaugurale proprio a The Zero Theorem.

Dopo mezz’ora di festeggiamenti solitari conseguenti a questa scoperta, ho raccolto la giusta compagnia e organizzato il breve viaggio alla volta di Lucca. Sarà stata autosuggestione (di solito suddivido gli altri spettatori in intellettualoidi, improvvidi e, residualmente, amanti focosi  come me), ma l’ambiente che abbiamo trovato era veramente rilassato, piacevole, con una  passione per il cinema che non è né vezzo intellettualoide né una posa, ma semplicemente passione: già fantascienza ancor prima dell’inizio del film?

La presentazione di Terry Gilliam in persona, buffone semplice e alla mano, mi ha ricordato la gigioneria di Mario Bava: quello spargere ironia come antidoto da parte di chi dentro di sé vive dimensioni profonde, complesse e inquietanti che sono pienamente trasmissibili solo attraverso l’arte.

Lo accompagnava l’ormai fido Sancho Panza della fotografia, l’italiano Nicola Pecorini, con una camicia da boscaiolo inimitabile e un ombrellino pieghevole (fuori piovigginava) appeso alla cintura. Mi sono convinto che Pecorini salirebbe così anche sul palco dell’Oscar e mi ha ispirato subito una naturale simpatia.

E il film?

The Zero Theorem è low budget sin dalle prime inquadrature, ma quel low budget che trasuda invenzioni e soluzioni intelligenti di fotografia, scenografia e regia, quindi, per me, il massimo.

Dopo le prime scene ho deciso di lasciar perdere i confronti con Brazil e di godermi questa storia, per quanto possibile, così come si presentava davanti ai miei occhi fotogramma dopo fotogramma.

L’inizio aiuta, in questo senso, perché è criptico e labirintico: entrare nel mondo futuribile di Gilliam costa fatica e concentrazione, ma una volta dentro diventa difficile uscirne. Sul fatto che Christoph Waltz sia stata una scelta giusta per questo film, devo ancora far pace con me stesso. Waltz sottintende sempre un filo di ironia che a volte mi è sembrato azzeccato, perfetto, suggestivo, ma in altre scene invece fuori luogo, sopra le righe, fuori contesto, come se forzasse una qualche parte inamovibile di se stesso.  Non so, lascerò questo aspetto così, sospeso non come un dubbio, ma come un lato affascinante.

L’altro lato affascinante del film è il concetto principale, quello che sottintende lo “Zero Theorem”. Non rovinerò la sorpresa a nessuno, ma quando un film ha una filosofia di fondo semplice e rivoluzionaria come questa, c’è già quello che manca invece in intere filmografie.

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