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[EXTRA] Quando in Spagna si profetizza la morte, RIP e El Escarabajo Al Final de la Calle

Cosa accade quando una profezia di morte non si avvera? Si festeggia verrebbe da dire.
Se ci troviamo però in un film di fantasia capita che la reazione sia completamente diversa.
Due recenti cortometraggi spagnoli hanno ragionato intorno a questo argomento.

In RIP, diretto nel 2017 da Albert Pintó e Caye Casas di Matar A Dios, al protagonista restano due giorni di vita, previsione fatta da un medico. Ci prende ma si sbaglia anche: il poveretto (Josep Maria Riera) si risveglia poco prima dell’inizio della veglia funebre mandando moglie (Itziar Castro) e madre (Carme Sansa) nel panico. Deve morire nuovamente e questa volta definitivamente altrimenti si fa una figuraccia con tutti gli invitati che aspettano nella stanza affianco l’inizio della cerimonia. Non sarà facile farlo schiattare.
Humor nero a palate, sangue a secchiate, classi sociali a confronto, con il poveretto di origini umili e la prepotente e bugiarda moglie, donna di città che vuole curare il funerale a modo suo in ogni minimo dettaglio, non rispettando le volontà del morto a cominciare dal taglio della barba.
Un povero (in tutti i sensi) Cristo (come una serie di inquadrature lasciano accostare), la cui vita è decisa da qualcun altro, destinato ad una fine che non vuole.

Pintó y Caye paiono volerci dire che ci vuole fortuna anche a morire perché se hai intorno le persone sbagliate il tuo povero cadavere se la vedrà male. Che poi, il più delle volte, sia un tuo vicino parente a farti le scarpe quando il tuo cadavere è ancora caldo è agghiacciante. I due ci scherzano sopra, rendendo questa tremenda eventualità spassosissima.

Nel secondo cortometraggio, El Escarabajo Al Final De La Calle (2018) esordio di Joan Vives Lozano, in un paesino catalano dove la vita scorre tranquilla a una giovane pescivendola (Alexandra Lacaita) -mentre decapita una ciriola- vengono improvvisamente gli occhi bianchi. Punta il dito contro Amadeo (Alfred Picó), un tizio che faceva la fila nel negozio, e gli profetizza sette giorni rimanenti da vivere. Siccome Lolin, la giovane veggente, è affidabile (ma non infallibile come rivelano delle interviste agli abitanti) tutti le dànno credito, ma la morte anche in questo caso non arriva, nonostante le sue (di lui) visioni di una blatta gigante necrofaga che pare seguirlo. Il mancato decesso manda su tutte le furie la comunità del paese che ha organizzato per lui una festa commemorativa indimenticabile, trattandolo nei suoi ultimi giorni come un re. Dalle stelle alle stalle in un attimo. Amadeo sembra condannato ad una vita solitaria, da emarginato, tornando praticamente nella situazione iniziale. Poco importa se il dito di Lolin aveva semplicemente sbagliato mira, da quel momento in poi tra il protagonista e il paese qualcosa si rompe definitivamente, si crea distacco e freddezza.

Eppure il finale pare suggerire un colpo di scena, un ribaltamento dell’ultimo secondo: forse anche il protagonista ha acquisito un dono speciale. Quel suo allontanarsi alla ricerca dello scarafaggio alla fine della strada potrebbe anche significare semplicemente il definitivo isolamento di Amadeo dal resto della comunità paesana, l’inizio della sua discesa nella follia perché messo da parte da tutti, per una colpa non sua.


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