Lucky di Natasha Kermani racconta una folle creazione, conseguenza della presa di coscienza di un concetto, di una idea. E lo fa lasciando costruire alla protagonista May (Brea Grant, anche sceneggiatrice) un ostile mondo in cui ogni notte un individuo mascherato prova ad ucciderla. May dovrà mettere in pratica quello che scrive nei suoi libri sull’autodeterminazione femminile e cavarsela da sola. Anche perché l’assassino non muore mai come Michael Myers, inoltre sia suo marito Ted (Dhruv Uday Singh) che la polizia la abbandonano a se stessa. Un mondo distopico in cui (soprattutto all’inizio) paiono quasi normali le aggressioni subite, normale routine quotidiana. Talmente è la normalità che a May capita di averlo dimenticato, o meglio rimosso.
Ma è dalla sua strana e sospetta amnesia che scatta la molla del cambiamento e della consapevolezza.
May prende coscienza che deve sbrigarsela contando solo su se stessa, abbattendo quegli schemi imposti dalla società. Intanto le aggressioni dell’uomo in maschera (che ricorda per un particolare quella di Dèmoni di Lamberto Bava) aumentano sempre più arrivando a colpire anche le persone vicino a lei.
Il film poi fa un ulteriore passo avanti nel percorso della sua eroina. Perché a un certo punto esce fuori che il suo problema riguarda anche altre donne (spaventate e poco disposte a parlarne, atteggiamento che ha anche lei) e che toccherebbe lottare anche per loro. Un discorso che si allarga ma che è destinato a restringersi subito. May aiuterà la sua amica e assistente Edie (Yasmine Al-Bustami) ma lascerà al loro destino delle perfette sconosciute. Forse le cause di questa sua scelta sono da ricercare in altre regole sociali prestabilite secondo le quali si passa sopra il cadavere degli altri senza pensarci due volte per qualsiasi cosa, figuriamoci quando in ballo c’è la vita stessa.
Perché chi si salva è solo molto fortunata, e chi muore ha avuto sfortuna, da qui il titolo originale Lucky.
Una parola che è un alibi per lasciare tutto com’è senza sporcarsi le mani. Ed è qui che il film in qualche modo diventa un po’ troppo didascalico: se il momento con le molteplici aggressioni nel parcheggio ha una sua forza, il volto multiforme del suo assassino una volta smascherato è di troppo.
Che il tutto sia comunque una elaborazione-invenzione della protagonista (per nascondere una violenza domestica altrimenti da lei negata?*) lo intuiamo anche da tanti piccoli particolari registici. Le posizioni del suo corpo dopo le aggressioni che assomigliano sempre a quelle dell’assassino svenuto-morto accanto a lei. Lo stesso assassino che a un certo punto comincia ad apparire contraddicendo le leggi della logica (come in un film slasher). E poi c’è una scena in bagno in cui un riflesso di May che si pulisce dal sangue fa un po’ come gli pare, per così dire. Perché Lucky, terzo lungometraggio di Natasha Kermani, in fin dei conti parla anche dei riflessi dei nostri lati oscuri nella vita di tutti i giorni.
Lucky ha ricevuto una menzione speciale alla seconda edizione del festival Oltre lo Specchio.
*: Sarebbe interessante approfondire questo aspetto di May che nega alla polizia e alla psicologa di aver subito violenze da parte del marito ma si colpevolizza sempre per averlo tradito.
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