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[RECENSIONE] Hanna (Joe Wright)

Hanna (Saoirse Ronan, già attrice per Wright in Espiazione e vista di recente in Amabili resti) è cresciuta fuori dal mondo, il padre Erik (Eric Bana) l’ha addestrata alla sopravvivenza, alla lotta, le ha insegnato tante lingue. Viene trasformata in una macchina da guerra per compiere una vendetta che ha a che fare con il passato misterioso del padre e della ragazza stessa.

Forse il tema cardine del nuovo film di Joe Wright risiede proprio qui, sulle colpe dei padri che ricadono sui figli. Si tratta anche dell’ennesima variazione sul tema del viaggio dell’eroe con tanto di antro/tunnel finale uscendo dal quale Hanna rinasce, consapevole del suo ruolo. Una uscita, un finale che si riallaccia all’apertura del film chiudendo il cerchio di un destino segnato.

Hanna in fuga dai cattivi (Cate Blanchett e Tom Hollander su tutti) per riunirsi con il padre scopre il mondo, si adatta come può, lei che è un eroina suo malgrado, spietata e ingenua allo stesso tempo, addestrata da un genitore che l’ha privata dei piaceri della vita che spettano di diritto ad una della sua età. Per contrasto la sua nuova (e unica) amica Sophie (Jessica Barden) è l’esatto suo opposto. Eppure i suoi genitori non se ne accorgono nemmeno, troppo occupati a scopare o a preoccuparsi del fatto che Hanna viaggi da sola.

E qui si torna volendo alle colpe dei padri che ricadono sui figli. È dall’incontro/amicizia con la troietta Sophie che Hanna, presa da uno slancio emotivo, scopre forse le sue tendenze sessuali e si lascia scappare un’informazione che metterà ancora di più nei guai lei e suo padre Erik. In quell’unica occasione abbassa la guardia contravvenendo ad una delle regole che il genitore le ha raccomandato di seguire. Questo perché è pur sempre una ragazzina ma soprattutto è la dimostrazione che il viaggio, dunque la maturazione/crescita, non sono ancora finiti.

Non lasciatevi ingannare da questo preambolo, Hanna conterrà pure tutti quegli elementi che comprendono action e sentimenti, il problema è che la sceneggiatura di Seth Lochhead e David Farr non riesce ad amalgamarli bene. Resta dunque un prodotto non si capisce bene se tendente al ritmo serrato o alle introspezioni psicologiche, né l’uno né l’altro aspetto eccellono nel film, neanche le musiche dei Chemical Brothers aiutano a creare le giuste atmosfere. Insomma non vogliamo parlare proprio di una delusione, perché gli attori sono comunque tutti bravi e Wright non è affatto un pivello, quello che resta però è solo un senso di incompiutezza, di un prodotto né carne né pesce.

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