La Casa Del Buon Ritorno è un film che oscilla fra il dramma ed il thriller.
Presentato a Venezia nella “Sezione De Sica” (opere prime) nel 1986 dove viene accolto da critiche contrastanti. Nel 1987 il suo regista Beppe Cino riceve però dalle mani di Cristopher Lee il premio come migliore opera prima al Fantafestival.
Il film, cult all’estero e dimenticato in Italia, ancora divide proprio per questa sua peculiare miscelanza di generi che spaziano stilisticamente fra Avati e Raimi, citando anche Onibaba, film del ’64 di Shindō che è uno degli autori amati da Cino.
Beppe Cino inizia la propria attività come aiuto regista e collaboratore di Roberto Rossellini col film L’età di Cosimo de’ Medici (1972), proseguendo in Cartesius (1973), Rice University (1973), Anno uno (1974), The World Population (1974), Il Messia (1975).
Tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli anni ottanta è autore di diversi programmi d’inchiesta per la Rai, la Tokyo Broadcastinc System (TBS), la NHK (Japan) e la SudWestFunk della Germania Federale.
Quando Luca torna nella casa in cui abitava durante la sua infanzia, trova ad attenderlo oggetti e situazioni che gli riportano alla mente la piccola Lola, compagna di giochi di cui era invaghito e che aveva ucciso. Ci rendiamo subito conto che la figura di Lola è tutt’altro che assimilabile a uno sbiadito ricordo o a una nostalgica rappresentazione: la piccola è una presenza ossessiva e totalizzante, destinata a rammentare a Luca il terribile vincolo contratto sotto gli auspici di eros e thanatos.
Se la maschera è un elemento centrale della narrazione, spendibile in funzione sia statica che dinamica, il regista si avvale anche della misteriosa fissità di un manichino, inteso come il doppio negativo della maschera, al fine di rappresentare l’essenza di Lola. È lo stesso Luca a curare e adornare la figura artificiale, il simulacro che sottrae energia alla sua relazione con la sua futura sposa Margit. Un film dove sembra non succedere nulla e dove invece si tesse una tela costante che porta ad una esplosione finale di morte e vendetta.
Robert Firsching di Allmovie definisce La casa del buon ritorno un giallo che affronta il tema di genere in maniera estremamente intelligente, e questa scrittura raffinata è ben supportata dalle 3 donne protagoniste Margit (Amanda Sandrelli), Ayesha (una ipnotica Fiammetta Carena) e Lola (Lola Ledda) mentre un po’ debole risulta il personaggio di Luca affidato all’aiuto regia di Cino, Stefano Gabrini, che in seguito avrà molto da lamentarsi sul coinvolgimento e la sua resa attoriale.
Le donne in questo film son figure potenti, forse streghe come suggerisce il loro ambiguo modo di fare e vestire. C’è una nota curiosa: mentre Luca – oramai cresciuto e adulto – torna nella casa dove pian piano regredisce psicologicamente (e fisicamente, simbolicamente, attraverso l’abbandono di barba e baffi), Ayesha non sembra esser cambiata di un giorno. Il fantasma di Lola invece è cresciuto assieme a Luca, diventando donna. Bellissima la colonna sonora di Carlo Siliotto, che crea un contrasto horror synth con scene che spesso non lo sono, dando al film una atmosfera ancor più unica. In seguito Siliotto si trasferirà in USA dove tutt’ora vive e lavora con successo… firmando anche colonne sonore di produzioni hollywoodiane come Punisher. Buona anche la fotografia, che grazie all’insolita e insistita tinta azzurra delle scene interne ha donato al film il titolo internazionale di House of the Blue Shadows.
Salve! Io mi chiamo Antonietta Masina e… già, con un nome così, non potevo che amare il cinema.
Son quindi cresciuta fra scherzi, assonanze e rimandi…ad una delle attrici (e muse) più immense; non potevo non conoscere lei (Ovvio, parlo di Giulietta Masina!) ed i film che ha interpretato; grandi film di uno dei più grandi registi di tutti i tempi.
Alle medie, il mio nome venne rielaborato dai compagni di classe in “Antonomasia” e, mentre le altre bambine giocavano con i principi azzurri, io sognavo… sognavo quei cappelli, quei costumi, quei colori… che mi portavano su altri piani di realtà nonostante Fellini stesso affermasse “Non voglio dimostrare niente, voglio mostrare.”
Ai tempi del liceo poi, si parlava spesso con amici su quale fosse la “Birra per Antonomasia”, “la Canzone per Antonomasia” o “il Film per Antonomasia”… che quasi predestinata, scelsi poi di studiare comunicazione per poter lavorare in questo campo, e far sì che “Antonomasia” in persona potesse rispondere alle loro domande!
Chi scrive è una ragazza, anzi, una “persona” che ama il cinema; Il cinema quello fatto con passione, con serietà, ma non seriosità; il cinema condiviso e discusso con chi lo ama, con chi va al cinema (e andare al cinema è come andare in Chiesa per me, con la differenza che la Chiesa non consente il dibattito, il cinema sì).
Ho una forte predilezione per il cinema fantastico ed horror, il mio fine non è solo quello di condividere i miei pensieri o recensire un film specifico (NON sono un critico, né conosco tutto… anzi, ho molti limiti e carenze che spero di colmare), ma anche discutere sulle motivazioni ed i sottotesti di interi generi.
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