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[OLTRE LO SPECCHIO] Cities of Last Things (Wi Ding Ho), la recensione

Che amarezza rimane alla fine di Cities of Last Things!

Il film racconta la vita di Zhang Dong Ling, personaggio autodistruttivo legato per tutta la vita ad una moglie, Yu Fang, che non fa altro che tradirlo. Le corna subite, più un temperamento violento sono alla base del suo carattere. Il rapporto con altre donne (la figlia, una ragazza cleptomane da lui arrestata da ragazzo, la madre sparita quand’era bambino) completano il quadro di una personalità complicata, taciturna, solitaria, arrabbiata, ribelle, sfiduciata.

Ambientato in epoche diverse: una futuristica in cui il suicidio è tabù e il controllo sugli individui è costante attraverso l’aiuto delle tecnologie, e un’altra, dalla fotografia più sgranata, con il protagonista giovane poliziotto (Hong-Chi Lee) cornificato dal suo vice capo, Cities of Last Things di Wi Ding Ho disegna una umanità (nel film si parla mandarino, inglese e francese) messa maluccio e allo sbando in cui anaffettività, egoismi, ingenuità ed opportunismi la fanno da padrone.

Zhang Dong Ling anche per tutti i suoi difetti e debolezze e le sue scelte estreme resta un personaggio umano col quale è difficile non riconoscersi. Il finale poi con lui bambino innocente che gioca sull’altalena, dopo tutto quello che abbiamo visto della sua vita, lascia un senso di desolazione che non va via tanto facilmente.

Cities of Last Things è in concorso per il festival Oltre Lo Specchio.

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